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Il toponimo "Montemerlo" compare più volte, anche nella versione latina "Mons Meruli", in alcuni documenti posteriori al Mille (a tale riguardo il nome appare per la prima volta in un atto di vendita del 1106 nel quale si parla di un certo Turingio "de Monte Merlo"), tuttavia un insediamento abitativo, per quanto di modesta entità, doveva esistere a Montemerlo già in epoche precedenti.
I ritrovamenti archeologici - varie tubature in trachite per la condotta dell'acqua, ora al Museo Civico di Padova, ed altro materiale lapideo - testimoniano come il territorio montemerlano fosse frequentato, se non diffusamente popolato, in epoca romana quando la cava di trachite era sfruttata con una certa sistematicità. Le caratteristiche e le dimensioni dei manufatti idrici d'età romana, rinvenuti in gran quantità, sia sul versante patavino che in quello atestino dei Colli Euganei, fanno addirittura presumere ad una produzione industriale delle tubazioni di pietra nell'ambiente euganeo ove Montemerlo eccelleva per il suo materiale da costruzione particolarmente pregiato.

L'irradiarsi del Cristianesimo a Montemerlo sembra con ogni probabilità risalire al periodo Longobardo (VII - VII sec. d.C.) stante il titolare della parrocchiale, S. Michele, santo cui i Longobardi, convertitosi alla fede cattolica, avevano dedicato numerose pievi e cappelle nei territori padovani e vicentini. Cosicché si può presumere che Montemerlo possedesse in epoca longobardo - carolingia una propria, quantunque piccola comunità cristiana, dipendente dalla pieve "matrice" di Teolo. Quindi "la chiesa" di Montemerlo, benché documentata relativamente tardi (1297), esisteva in epoca anteriore al Mille, prima ancora che sull'altura fosse elevata la rocca dei Trasalgardi.

La costruzione di un castello a Montemerlo rientra in quell'ampio fenomeno, detto incastellamento, riguardante, a partire dal X secolo, il sorgere di numerosissime e munitissime roccaforti a difesa dell'agro patavino, determinato dalla diffusa insicurezza nella quale la gente era costretta a vivere ed operare. Non di rado i castelli erano goduti da famiglie che si erano per lo più distinte in "fatti d'arme" e che ricevevano come compensa dall'imperatore la giurisdizione di estese plaghe.

È questo il caso di Montemerlo. I fratelli Transalgardi - Carlotto e Giovanni - giunsero di fatto in Italia al seguito dell'esercito di Carlo Magno, "spronato" da Papa Adriano I a porre fine alla dominazione Longobarda, e si comportarono così valorosamente in battaglia che l'Imperatore stesso, in segno di riconoscenza, volle donare loro svariati territori del Padovano, tra i quali anche Montemerlo.

La tradizione anzi tramanda che l'abitato di Montemerlo prese nome proprio dai due fratelli che, desiderando ricordare i loro possedimenti francesi di Mont Merlè, chiamarono il luogo nell'espressione italiana di Montemerlo.

In vero a questa interpretazione, così suggestiva, non sono del tutto estranee la fantasia popolare e la leggenda: aggiungasi pure una certa frammentarietà delle fonti storiche, da cui consegue la scarsa attendibilità della spiegazione comunemente nota sull'origine del toponimo.

Tanto più che un'altra credenza popolare vorrebbe Montemerlo chiamarsi in questo modo dalla merlatura - i cosiddetti "merli", quei caratteristici risalti che guarniscono la sommità delle opere di fortificazione - del suo antico castello.

Nel castello, edificato presumibilmente intorno al X - XI secolo sul pendio del monte, dimorarono i Transalgardi che in seguito, proprio per il fatto di possedere questi luoghi, furono detti "da Montemerlo"; i loro discendenti presero il titolo di conti. Della famiglia dei "Montemerlo" val la pena ricordare un tale Riccardino, giovane crociato ucciso in Palestina nel 1095 durante uno scontro con gli "infedeli", ed un certo Marzio, capitano di un drappello di soldati che nel 1258 si fece fama nella lotta contro i signori "da Romano" ed ebbe dal vescovo di Vicenza alcuni loro feudi.

Ospite eccellente della rocca di Montemerlo fu il Beato Giordano Forzatè, priore del monastero padovano di S. Benedetto e figura eminente della vita politico - religiosa cittadina; nel 1237 vi si rifugiò nel tentativo di sfuggire alle angherie di Ezzelino da Romano, ciononostante fu fatto prigioniero dal tiranno in persona ed il castello di Montemerlo, nel quale trovarono frequente asilo i perseguitati padovani, raso al suolo e non più ricostruito. Di lì a poco, quasi nello stesso sedime, fu costruito il palazzo, ora Dalla Francesca.

Del castello ai giorni nostri non rimane in sostanza alcuna traccia; d'altronde già una cronaca della metà del secolo scorso informava come se ne scorgessero ben pochi ruderi che col passare delle stagioni sono stati per intero ricoperti e sgretolati dalla vegetazione del monte.

L'abitato medievale di Montemerlo si sviluppò se non debolmente: il carattere militare del sito esponeva di fatto il villaggio a continue distruzioni e ne impediva la crescita e l'espansione: messo a ferro e fuoco da Ezzelino, fu saccheggiato nel 1312 anche da Cangrande della Scala, signore di Verona. Sicché Montemerlo si configurava come un villaggio minore e di relativa importanza nel contesto padovano.

Il suo territorio era caratterizzato da vaste aree di fitta vegetazione tanto che diverse indicazioni toponomastiche lo testimoniano ancor oggi: citiamo via Salgaro, via Albere (termini dialettali che stanno ad indicare rispettivamente il salice e il pioppo) e poi ancora via Boschi, via Roveri, via Frassanelle. Soltanto nel Due - Trecento presero avvio non pochi disboscamenti di nuove terre i quali consentirono un miglioramento delle condizioni di vita ed incremento delle attività agricole: preziosa, per non dire decisiva, fu in questo senso l'opera dei Benedettini della vicina Abbazia di Praglia.

Intorno al XIII secolo la giurisdizione del Comune di Padova si estese al villaggio di Montemerlo che, tra le varie prestazioni dovute a tale vincolo di dipendenza, doveva, naturalmente insieme ad altre "villae", badare alla perfetta efficienza del ponte di Tencarola, provvedere alla manutenzione dello scolo Rialto (lavoro quest'ultimo da compiersi in proporzione al numero di abitanti, all'epoca a Montemerlo circa un'ottantina), fornire due carri per l'esercito cittadino.

Allorché nel 1405 la dominazione veneziana si estese su Padova ed entroterra, la gente dell'area collinare euganea versava in condizioni a dir poco miserevoli e il governo della Serenissima non contribuì certo a renderle più accettabili.

Un'estrema povertà, un eccessivo carico fiscale gravavano sulle popolazioni contadine e, come se non bastasse, frequenti epidemie falcidiavano le famiglie, e ripetute stagioni avverse danneggiavano gravemente i raccolti.

Una spaventosa arretratezza perdurava inoltre nella campagna dove limitate erano le conoscenze tecniche. Il parroco di Montemerlo, don Lorenzo Nardi, in occasione della visita pastorale del cardinale Rezzonico (1747), futuro Papa Clemente XIII, annotava sconsolatamente la diffusa miseria della gente "essendo tutti gli abitanti poveri quanto non si può dire...".

Durante il periodo veneziano merita di essere sottolineata la graduale ripresa dell'attività lavorativa nella cava di trachite, tanto è vero che buona parte dei campielli e delle calli di Venezia Serenissima furono lastricate con la "masegna" montemerlana.

Frattanto, a seguito di una decisa riforma amministrativa, i veneziani costituirono Padova in "podestaria" assogettandola ad un podestà e divisero la provincia in sette podestarie (i principali centri: Monselice, Montagnana...) ed in sei "vicarie" territoriali, governate da un rettore eletto dal consiglio civico cittadino, fra le quali quella di Teolo: da quest'ultima dipendeva giurisdizionalmente Montemerlo fino a quando nel 1807, in forza di un decreto napoleonico, non fu aggregato ai territori di Cervarese e S. Martino a formare il Comune di Cervarese Santa Croce.

Anche negli anni che precedettero e seguirono l'Unita d'Italia (1866), il quadro sociale era sempre desolatamente lo stesso: un analfabetismo pressoché totale e una diffusa povertà segnavano ed opprimevano i ceti popolari; talora le tristissime condizioni nelle quali questi ultimi versavano diedero origine - specie nella prima metà dell'Ottocento a veri tumulti e saccheggi da parte, è proprio il caso di dire, della folla affamata. A taluni di questi episodi nei quali erano frammischiate miseria e disperazione, partecipò anche la popolazione di Montemerlo.

Ancora nella seconda metà del secolo scorso Montemerlo appariva come un paese molto povero, con pochi casolari abitati per lo più dagli scalpellini: la trachite rappresenterà in vero l'insostituibile fonte di sostentamento e l'unica apprezzata risorsa del paese fino all'immediato dopoguerra, quando anche alcune centinaia di lavoratori erano impegnati in cava.

Nel primo decennio del Novecento l'abitato di Montemerlo conobbe il "boom" demografico: si contano almeno una settantina di nati l'anno fino al 1920, con punte di 87 nascite l'anno nel 1910 e di 83 nel 1908.

I campi e la cava non possono offrire da vivere a tutti cosicché, specie negli anni Trenta e Quaranta, si assiste all'emigrazione d'intere famiglie in Lombardia, il Piemonte o addirittura per l'estero alla ricerca di un'occupazione nelle prime grandi fabbriche e di una sistemazione adeguata.

A partire dal secondo dopoguerra, grazie ad azzeccate attività artigianali e commerciali, Montemerlo ha registrato un notevole sviluppo socioeconomico , un progressivo incremento della popolazione ed un discreto impulso edilizio che, se da una parte ne ha fatto un attivo, moderno centro dell'hinterland padovano, dall'altra hanno "sgretolato" quasi del tutto la componente rurale del paese.

Montemerlo e i suoi monumenti

L'attuale abitato di Montemerlo conserva tracce limitate della sua struttura più antica: del castello dei Transalgardi, posto sull'erta del monte, nulla è rimasto, mentre un'impietosa trasformazione avvenuta negli anni Cinquanta ha completamente "snaturato" l'ex parrocchiale di S. Michele, ora adibita ad altra funzione e non più a culto.

La comunità rurale di Montemerlo si è via via costituita nel corso dei secoli quasi all'ombra del polo militare (il castello) e, una volta scomparso quest'ultimo, di quello religioso (la chiesa), assumendo una ben precisa connotazione: un numero esiguo d'abitanti, un gruppo di case costruite con estrema povertà di mezzi ed un'unica residenza padronale, il Palazzo Forzatè, ora Dalla Francesca (nel quale tra l'altro trovò alloggio il Barbarigo il 29 settembre 1670), sorto quasi nello stesso sedime occupato dal castello distrutto dalla furia di Ezzelino.

La parte primitiva ed originaria dell'ex parrocchiale - un semplice stanzone quadrangolare, basso e senza e soffitto - sembra risalire all'età longobarda, ossia ai secoli VII / VIII d.C.: la intitolazione a S. Michele, uno dei patroni più cari ai Longobardi, conferma una datazione in tal senso. La chiesa di Montemerlo è peraltro documentata per la prima volta nel 1297 col suo prete Geraldo, quando, causa l'irrilevante rendita annua, fu esentata dal pagamento delle decime. Nel corso delle varie visite pastorali, a partire da quella del vescovo Ormaneto nel 1572 - furono più volte constatate le sue poverissime condizioni, tanto che continue giunsero le esortazioni affinché venisse dotata di nuovi altari, di qualche decorazione e di una suppellettile migliore.

Nel Cinquecento, non lontano dalla parrocchiale, è attestata pure l'esistenza di un oratorio in onore a S. Pancrazio, la cui esatta ubicazione non è però a noi nota, forse col tempo la devozione a S. Pancrazio venne meno, forse l'oratorio fu abbandonato e andò incontro all'incuria, certo è che nel 1670 lo stessa versava in rovina e venne proposto che le sue pietre servissero a costruire la sagrestia. Il campanile, che ancor oggi è in funzione, appartiene alla prima metà del Settecento e fu oggetto di un sostanziale restauro nel 1911 con un intervento che interessò la cuspide originaria sostituita da una torre merlata. Un deciso ampliamento modificò profondamente la chiesa nel 1823: venne infatti allungata ed innalzata fino a raggiungere le attuali forme e dimensioni. A tal proposito nella parete rivolta verso strada si possono scorgere gli incavi delle finestre precedenti l'ampliamento ottocentesco, che rendono bene l'idea di quanto più basso fosse l'edificio.

Tuttavia il riassetto effettuato si dimostrò insufficiente nei primi decenni del Novecento, perché la parrocchiale non riusciva a contenere la popolazione intera, in rapido e costante aumento, costretta a seguire con vero disagio le funzioni religiose. Apparve inevitabile e oltremodo necessario l'edificazione di una nuova chiesa, che su progetto dell'ing. Ceschi, sette anni dopo la posa della pietra angolare, venne inaugurata il 29 settembre 1953. Quella vecchia fu abbandonata ed in seguito nel suo interno trovarono posto i locali della scuola media: si costruirono allora solai, pareti, murature di tamponamento che rovinarono in maniera irrimediabile l'edificio sacro; si sono salvati a malapena la nicchia del fonte battesimale, l'abside e alcuni affreschi nella volta del soffitto.

Attualmente l'edificio, interessato a più riprese da importanti interventi di restauro, ospita la biblioteca comunale di Cervarese S. Croce

La nuova parrocchiale, edificata per intero in trachite a breve distanza dalla chiesa antica, risalta per la maestosa facciata che pone in rilievo il profilo della navata maggiore, dominate sulle due laterali. Nell'architettura severa ed essenziale sono inseriti quattro rilievi in pietra raffiguranti gli Evangelisti, opera di Luigi Strazzabosco.

Nel suo interno, impreziosito dallo slancio verticale di otto colonne in marmo, che suddividono la navata centrale da quelle laterali, si ammira la statua del patrono S. Michele, opera dello scultore Egidio da Wiener Neustadt, dichiarata nel 1923 monumento nazionale. Commissionata all'artista austriaco da Benvenuto Bazioli, noto usuraio padovano, fu ultimata nel 1425 e sistemata nella cappella di S. Michele annessa alla chiesa cittadina di S. Leonino (ma detta popolarmente di S. Violin), ove rimase 400 anni, anche quando quest'ultima venne chiusa al culto nel 1808.

Qui fu scorta occasionalmente dall'allora parroco di Montemerlo, don Lazzarotto, e da questi acquistata per essere esposta nella chiesa parrocchiale (1837).

La statua, grande al naturale, in pietra calcarea compatta e di grana sottile (cosiddetta pietra Gallina), raffigurante l'Arcangelo nell'atto di trapassare con la lancia il demonio che si sta torcendo ai suoi piedi, fu restaurata dal Ceccon e collocata nel 1870 in una nicchia appositamente costruita nell'ex parrocchiale. Nel 1953 fu trasportata nella chiesa nuova e sistemata a scopo devozionale su di un alto piedistallo nel mezzo dell'abside dietro l'altare maggiore.

Soltanto a metà degli anni Settanta, in occasione del 550 anniversario della sua esecuzione, le è stata trovata un'adeguata sistemazione in una cappella della navata laterale sinistra, ove può essere apprezzata in tutto il suo splendore, grazie all'intervento di restauro promosso nel settembre 2003 in occasione del cinquantesimo anniversario di costruzione della nuova chiesa parrocchiale.

La figura del patrono di S. Michele è anche il soggetto del dipinto che si staglia in fondo all'abside: è una pala della seconda metà dell'800, del pittore padovano Vincenzo Gazzotto, donata espressamente alla chiesa di Montemerlo dal conte Francesco Papafava. Il dipinto risalta per la vivacità dei colori e per lo slancio dell'immagine dell'Arcangelo, imitazione del S. Michele di Raffaello, conservato al museo del Louvre a Parigi.

Tutti gli altari della chiesa nuova, se si eccettua il maggiore, provengono da quella vecchia: così, ad esempio, il primo a destra entrando fungeva da maggiore nell'ex parrocchiale e risale al 1717: proprio sopra quest'ultimo è ora posto un crocifisso nero, attribuibile alla bottega del Brustolon.

Merita qui un accenno, se non altro per la sua singolarità, l'edificio dell'Arena, caratteristico teatro all'aperto, costruito a lato della nuova parrocchiale, da muratori e scalpellini locali negli anni Cinquanta, su modello dei più celebri anfiteatri romani.

Tra i palazzi di sicuro pregio storico artistico spicca a Montemerlo innazitutto la residenza, ora Dalla Francesca. Il palazzo, costruito dai nobili Forzatè verso la fine del XIII secolo a mezza costa del colle, con a fianco una torre di guardia che ne vigilasse la via d'accesso, rivela mura robustissime, pavimenti ed inquadrature di porte e finestre in pietra viva, massicce travature sommariamente squadrate che bene evidenziano la vetustà della costruzione. In seguito e precisamente alla fine del XVI secolo, l'edificio fu illeggiadrito da un grazioso portico a colonne, ispirato di certo ai chiostri del vicino monastero di Praglia. Dai Forzatè - Capodilista l'abitazione signorile passò in proprietà ai Cittadella - Vigodarzere, quindi ai Papafava; tuttavia nel corso dei secoli si trasformò da residenza padronale in casa rurale. Il portico a colonne fu murato, inoltre era stata aggiunta una sgraziata struttura adibita a locali di servizio, distrutta da un bombardamento durante l'ultima guerra.

Nel palazzo fu tra l'altro installata, sul finire del secondo conflitto mondiale, la principale centrale telefonica del Comando della X armata dell'esercito tedesco in Italia, obbiettivo di due bombardamenti aerei, il 20 marzo ed il 20 aprile 1945, nel corso dei quali rimasero uccisi, purtroppo, anche nove civili. È merito dell'attuale proprietario l'aver riportato l'interessante costruzione allo stato primitivo e all'antico splendore.

Altri edifici degni di menzione sono: Villa Serenella, dal falso aspetto di castello, innalzata agli inizi del secolo scorso dal musicista Gaspare Pachiarotti (1744 - 1821), ora proprietà Sacerdoti. L'edificio si presenta di particolare effetto scenografico spuntando tra la vegetazione del parco, con le sue facciate turrite ricamate da pinnacoli e merlature.

In via Repoise Villa Marin, abitazione signorile dell'800, circondata da un brolo tuttora ben tenuto.

Ed infine casa Capodivacca del XIV - XV secolo, che si presume essere stata originariamente un convento, in quanto da scavi effettuati e da vecchie fondazioni adiacenti, sono stati portati alla luce tracciati sotterranei di piccole dimensioni, che sembrano costruire fondazioni di celle monastiche.

La campagna mantiene dal canto suo ancora alcune interessanti case coloniche, pur bisognose di urgenti restauri, con ampi porticati tipici dell'architettura rurale veneta. Adiacente alla fattoria Rubin si trova un bell'esempio di "colombara" che ha dato nome all'anonima contrada.

Luogo caratteristico di Montemerlo erano un tempo le cosiddette Fontane, delle quali rimane oggi soltanto una viva nostalgia, in special modo tra quanti ne serbano ancora ricordo.

Si trattava di una vecchia fontana, peraltro di alcun valore architettonico, situata ai piedi del monte, proprio in via Fontane, dalla quale sgorgava ininterrottamente un'acqua purissima che serviva l'intero paese.

L'acqua non utilizzata veniva raccolta in una vasca e adoperata per il bucato o per l'abbeveraggio del bestiame. Circa venticinque anni fa, la sorgente cominciò poco a poco ad esaurirsi, forse a causa dei lavoro nella vicina cava. Quando l'acqua mancò del tutto, la fontana andò murata ed il sito cadde conseguentemente in disuso avendo perduto l'originaria funzione. Alla sorgente indubbiamente antica (il toponimo compare già nel catasto napoleonico) venivano attribuite pure capacità medicamentose e curative. Di fatto per il paese era di vitale utilità, specie in tempi in cui non esistevano acquedotti e le abitazioni erano fornite di acqua se non mediante pozzi. Benché poco rimanga della originaria sorgente, il sito è ancora profondamente legato alla vita del paese.

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